Tiziana Bianchini | Implementing and going beyond the Palermo Protocol

Tratta Interviste News

lunedì 22 Giugno 2020

Tiziana Bianchini

Responsabile dell’Area Tratta della Cooperativa Lotta Contro l’Emarginazione e referente del gruppo ad hoc Tratta degli esseri umani del CNCA (Coordinamento nazionale Comunità Accoglienza)

 

Cosa ha rappresentato per te persona che si apprestava a sviluppare interventi sulla tratta la Convenzione di Palermo?

La convenzione di Palermo ha costituito un significativo elemento di cristallizzazione e strategia per il nostro lavoro agli albori degli anni 2000, da diversi punti di vista

  • Pervenire ad una definizione di tratta riconosciuta a livello sovranazionale e capace di descriverne i segmenti e gli aspetti ha rappresentato una cornice interpretativa molto importante. Rappresentando una sorta di spartiacque con le prime sperimentazioni degli anni precedenti, anni nei quali diverse organizzazioni  si erano avvicinate alla proposta di una lavoro con le donne, ha consentito l’impulso strategico e innovativo per l’impostazione degli interventi a tutela delle vittime e delle potenziali vittime, fornendo un punto di convergenza verso il quale far tendere le politiche ed i programmi di assistenza
  • Avviare una riflessione sulla collaborazione e sulla sinergia di missionMission La Mission è la definizione dei processi operativi attraverso cui raggiungere obiettivi strategici e competenze molto diverse tra loro (basti pensare alla competenza sociale educativa ed a quella inquirente o repressiva). Chi ha nel proprio core la tutela delle vittime e chi ha il contrasto alle organizzazioni criminali, ha cominciato a comprendere di essere “l’altro lato” di una medaglia che aveva ed ha al suo centro il tema della garanzia dei diritti e la battaglia per la legalità
  • Rappresentare un pungolo importante per le istituzioni, che hanno cominciato a fare i conti un fenomeno presente e radicato nei propri territori, e sviluppato in alcuni enti pubblici l’attivazione di politiche locali attente al fenomeno
  • In sintesi, uno strumento di sfida, una challenge che invitava a osservare ed approcciare un fenomeno da una prospettiva diversa rispetto alle modalità più consuete di lavoro sociale

 

Quali elementi di tale Convenzione hanno accompagnato il tuo lavoro di coordinatrice, operatrice, referente di reti della società civile impegnata sulla lotta alla tratta?

Il Protocollo ha contribuito a fornire diverse coordinate interpretative alle quali ho fatto ricorso e riferimento in moltissimi eventi e momenti del mio lavoro. Sicuramente la possibilità di avere una definizione chiara e oggettiva, all’interno della quale portare i confronti locali e nazionali ed inquadrare il fenomeno, con la possibilità di guardare oltre alla definizione stessa e individuare nel corso degli anni le sfumature che si sono via via rese visibili, e continuare a poter trovare chiavi interpretative per rinnovare le politiche e i programmi. Indubbiamente, per la mia origine professionale e umana, la legittimazione che il Protocollo dà al capitolo dei diritti e della tutela delle vittime, ed al riconoscimento  di come una condizione di vulnerabilità e fragilità possano essere fattori che indirizzano le persone a consentire ed accettare avvicinarsi ed entrare in ricuciti illegali e si sfruttamento.

 

Quale futuro vedi dal tuo osservatorio di grande esperienza per il futuro della tratta? Ovvero, come andare oltre la Convenzione di Palermo?

È opportuno continuare a comprendere come il fenomeno della tratta degli esseri umani si mimetizza all’interno della globalizzazione, con le sue crisi e le sue opportunità. È fondamentale comprendere come le organizzazioni criminali si siano raffinate nei loro meccanismi di reclutamento e controllo per poter essere noi in grado offrire una alternativa di inclusione alle vittime che sia reale e sostenibile. È fondamentale anche comprende che le vittime e le potenziali vittime hanno caratteristiche, esperienze di vita, progetti migratori e di vita molto differenti dalle vittime che abbiano conosciuto 20 anni fa; pure nella precarietà della loro condizione di partenza abbiamo la consapevolezza di essere in rapporto con vittime e potenziali vittime che posseggono un altro tipo di conoscenze e di scenari veicolati e velocizzati dalla tecnologia, che ne ha moltiplicato in modo esponenziale pericoli  ed opportunità. È necessario quindi anche un refresh dell’universo simbolico e dei linguaggi, mantenendo però l’attenzione a quella radice fondante che ci ricorda sempre la vulnerabilità della persone e la incapacità o impossibilità di accesso ai diritti e alla libertà.

 

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