Il grano e il sangue
Ancora un morto sul lavoro.
Ne muoiono 3 al giorno in media, e tantɜ altrɜ rimangono segnatɜ a vita da “incidenti” che spesso si potevano evitare spendendo qualche soldo per misure di sicurezza. Ma questo avrebbe diminuito il guadagno di tuttɜ quellɜ che stanno sopra allɜ lavoratorɜ, dai caporali alle filiere di distribuzione.
La morte sul lavoro di SATNAM SINGH – perché così si chiama, ha un nome e un cognome – ha avuto una dinamica talmente bestiale e disumana che forse (ma non è poi certo) riuscirà per un momento a bucare gli schermi, a infastidire lo scorrere dei feed, a far pensare almeno per un momento a molte persone, che un uomo che ha appena perso un braccio tranciato da una mietitrice – perché non ha “perso il braccio” casualmente, è stato tranciato e gettato sul grano a marcire – è stato buttato per terra davanti casa sua, NON portato in ospedale perché troppo rischioso per il padrone. E poi è morto. E la moglie non ha nemmeno un permesso di soggiorno per restare legalmente in Italia. Magari, adesso, qualcuno si muoverà e la aiuterà.
SATNAM SINGH era un lavoratore indiano, come altre decine di migliaia nelle campagne laziali dell’Agro Pontino e dell’Agro Romano. Molti di loro per venire in Italia hanno pagato trafficanti, intermediari, datori di lavoro. Hanno debiti enormi da restituire, e devono accettare di lavorare per 2 o 3 euro all’ora. Nelle serre in cui lavorano ogni tanto qualcuno si impicca perché non ce la fa più. Gli vengono somministrate anfetamine e altre droghe prestazionali (doping lavorativo) per sopportare il lavoro, il caldo, il dolore. Vengono insultati, minacciati, picchiati. A volte uccisi. E la stessa sorte subiscono le famiglie a casa se non vengono pagati i debiti.
On the Road realizza progetti e attività per contrastare il caporalato e lo sfruttamento lavorativo. Abbiamo in carico decine di persone sfruttate nelle regioni dove lavoriamo, Marche, Abruzzo e Molise. Sfruttate nell’agricoltura, nell’edilizia, nelle fabbriche.
Facciamo quello che possiamo, sia nell’aiutare materialmente queste persone, supportando le loro denunce, proteggendole, aiutando a trovare un nuovo lavoro non sfruttato, che per proporre e realizzare politiche, leggi, e cultura della legalità e del rispetto dei diritti sociali e umani. Ma è una goccia nel mare.
Se non cambiano le condizioni che generano questa situazione noi potremmo anche aiutare 100 persone ad uscire dalla situazione di sfruttamento, ma il giorno dopo altri 100 prenderanno il loro posto, come mi ha detto un sindacalista della GKN di Firenze. E ha ragione.
È necessario che lo sfruttamento lavorativo non sia più endemico e strutturale, come spesso viene descritto anche dalle istituzioni che dovrebbero combatterlo, e quindi è indispensabile una presa di coscienza della popolazione, che è coinvolta sia perché usufruisce dei beni e servizi così prodotti, sia perché, in quanto comunità di lavoratorɜ, vede i diritti di tuttɜ lɜ lavoratorɜ deteriorarsi, perché lo sfruttamento delle persone più vulnerabili ha un rapporto diretto anche con i contratti nazionali e gli stipendi dellɜ lavoratorɜ regolari.
Solo dal basso potrà arrivare un movimento, una volontà di cambiare, per vivere in un mondo che non sia sotto ricatto dalle mafie e dalle aziende ad esse collegate, che spesso sono la stessa cosa.
Il braccio di SATNAM SINGH è rimasto lì, nel grano. Ad indicarci tragicamente la via, per lottare per la NOSTRA libertà, per recuperare la NOSTRA dignità.
Fabio Sorgoni
Responsabile dell’Area Tratta e Sfruttamento