Riflessioni sul Disegno di Legge per le persone senza dimora
Il 6 novembre 2024 dopo 15 anni il Senato ha approvato all’unanimità il disegno di legge per garantire cure ed un medico di base alle persone senza dimora. Questo provvedimento, che consente l’iscrizione all’anagrafica sanitaria delle persone senza dimora, rappresenta un obiettivo fondamentale per la tutela delle persone in condizioni di marginalità. Tuttavia, dietro l’entusiasmo per questo traguardo, emergono alcuni limiti che sollevano dubbi sulla sua capacità di affrontare pienamente le radici del problema.
A Pescara, dove gestiamo l’Help Center per persone senza dimora “Train de Vie”, abbiamo avuto la possibilità di sperimentare in anticipo i benefici di questo approccio, perché la regione Abruzzo, ancor prima dell’approvazione in Senato, già da diversi mesi aveva introdotto a livello regionale la possibilità di accedere all’iscrizione sanitaria. Il disegno di legge è indubbiamente un riconoscimento significativo del diritto alla salute come elemento universale, la possibilità di accedere a cure sanitarie non solo in situazioni di emergenza, dando continuità terapeutica dopo un ricovero e stabilendo un rapporto con un medico di base è un grande passo avanti. Tuttavia, la legge si applica esclusivamente a chi è nato in Italia o possiede la cittadinanza italiana riconosciuta.
Questa dinamica lascia una sorta di amaro in bocca. La nostra Cooperativa ha sempre operato attraverso un approccio alle multivulnerabilità in un’ottica intersezionale degli interventi. Per quanto risulti un passo avanti fondamentale, relegare il diritto al medico di base esclusivamente alle persone senza dimora italiane appare non pienamente coerente con il principio di universalità del diritto alla salute.
L’iscrizione sanitaria è collegata ad un’iscrizione presso l’anagrafe dei comuni. Collega, quindi, una persona ad una residenza. Se questa persona, come nel caso delle persone senza dimora, non ha una residenza, non ha accesso all’iscrizione sanitaria. Adesso, con il disegno di legge (in via sperimentale), anche senza la residenza fittizia si avrà diritto all’iscrizione sanitaria e, di conseguenza, ad un medico di base. Ma, come dimostra l’esperienza di Pescara, dove da anni è attivo il sistema delle residenze fittizie, garantire una residenza fittizia permette di collegare automaticamente le persone non solo alla sanità, ma anche ad un più ampio sistema di protezione sociale. Oltre alla tessera sanitaria, consente di ottenere documenti personali, accedere ai servizi sociali e beneficiare di misure di sostegno economico come la pensione, l’assegno di inclusione o il bonus spesa. Insomma, tutti quei livelli di aiuto che i Comuni possono dare. Quindi la nuova legge, sebbene utile, finisce per compensare queste lacune in modo parziale, senza affrontare la radice del problema, perché passa in secondo piano gli interventi di altro livello.
Ma il socio-sanitario non può avere dei livelli e va gestito in maniera univoca, proprio perché la salute non è composta soltanto dal farmaco o dall’accesso all’ambulatorio, la salute ha a che fare con tutta la sfera sociale della persona, che può essere adeguata solo se la persona, come prevede la legge italiana, è collegata ad una residenza.
In conclusione, da un lato siamo felici, perché è stato fatto un primo passo importante, ma dall’altro lato ci sembra che questa soluzione risolva un problema parziale. È fondamentale che si lavori affinché questo primo traguardo diventi parte di una strategia più ampia e inclusiva. Solo così si potrà garantire a tutte le persone in condizioni di marginalità non solo la salute, ma anche dignità, diritti e una reale possibilità di reinserimento nella società.
Quindi contentз si, ma non completamente.