La povertà non è una calamità naturale: la storia di Catia
La povertà non è una calamità naturale, è un effetto di scelte fatte dagli uomini e dalle donne.
Ma la vita di strada in sé è una condizione sociale che non si sceglie di vivere.
L’idea del senza dimora girovago e viaggiatore, il clochard, il vagabondo, fa parte di un immaginario romantico più che distorto che non ci permette di vedere quali sono le fragilità dell’essere umano.
Noi “gli invisibili” li vediamo ogni giorno, vediamo i loro occhi, conosciamo le loro storie e li mettiamo al centro, li rendiamo visibili e gli rendiamo visibili le loro capacità.
Quella di Catia è una delle storie che non smetteranno mai di renderci felici.
L’abbiamo incontrata 9 anni fa mentre faceva “il parcheggio”, gergo tecnico per dire che lavorava come parcheggiatore abusivo. Era ubriaca, molto spigliata, sicuramente in tempi lontani una bellissima ragazza. Nei mesi successivi al nostro primo incontro divenne un’ospite fissa dell’Help Center Train de Vie: si dimostrò sempre attiva e solare, imparò a scrivere il suo nome. Imparò a scrivere anche il nome delle sue tre figlie, che non ha potuto crescere a causa della sua dipendenza e delle condizioni di disagio in cui era costretta a vivere.
Si fidava molto di noi.
Ci raccontava spesso della sua vita, di come era stata dura per lei l’adolescenza, degli abusi subiti da ragazzina e dei torti che ancora era costretta a sopportare in strada.
Un giorno ci confidò di aver trovato un posto che le sembrava una casa, al vecchio mercato all’ingrosso della frutta, vicino al mare: un mostro di cemento abbandonato che racchiudeva al proprio interno un micro mondo dell’underground abitato da moltissime persone.
Ci diceva, però, che i suoi spazi venivano continuamente invasi da persone, cordiali e non, che volevano il suo tempo, la sua compagnia, il suo corpo.
All’improvviso, quello spazio di rifugio dal mondo che curava come una reggia e che chiamava “casa”, divenne per lei un incubo. Si abbandonò alla condizione di essere diventata il passatempo degli uomini di quel luogo, in cambio di birre e bevute.
Diceva: “prima o poi vado a fare un po’ di pulizia in quel postaccio, ora mi sono rotta le palle!”
E poi ci provò.
Era estate, alle 2:00 di notte ci fu un boato, poi le fiamme. La miccia per l’accensione, un liquido altamente infiammabile, le esplose in mano, investendola e facendo esplodere le poche finestre rimaste in quel posto. Fu un tentativo maldestro che, in poche ore, mandò in fiamme tutto il primo piano. Nessuno degli abitanti dell’edificio rimase coinvolto, solo lei fu sfigurata negli arti superiori e sul mento.
Le settimane che Catia passò in ospedale per rimettersi in sesto cambiarono qualcosa nel suo sguardo. Quella fiammata non aveva bruciato solo la sua pelle, aveva ridotto in cenere la sua paura. Aveva provato ad uccidere sé stessa e tutti coloro che l’avevano ferita e, nella drammaticità di quel gesto assurdo, quello scoppio di follia fu la sua liberazione.
Da quel momento in poi iniziò ad apprezzare la vita, ad inseguirla.
Andò alla ricerca delle sue figlie, sparse per l’Italia, fino a ritrovarle e scoprire di essere diventata nonna. Non ha mai smesso un giorno di lavorare ma soprattutto non ha mai smesso un giorno di sorridere.
Oggi Catia ha 56 anni e, grazie ad uno dei nostri progetti, PON I FEAD “Abitare i Luoghi, Vivere in Comunità” di cui il Comune di Pescara è ente titolare e On the Road ente gestore, ha una casa meravigliosa in cui vivere, che cura e arreda con attenzione, dove ha un posto tutto suo per studiare quella grammatica italiana che le è sempre rimasta stretta in gola.
Oggi Catia è finalmente al centro della sua vita, padrona di sé stessa e libera di scegliere.
Foto di Marcelo Renda da Pexels